(Milano 6 marzo 1912 – Albenga 27 agosto 2003)
Commerciante, imprenditore, scrittore, collezionista, Emilio Carlo Mangini sognò fin da piccolo castelli in cui raccogliere e restaurare oggetti antichi.
Mentre la scuola non lo interessava più di tanto, l’ambiente agiato e stimolante della famiglia gli offriva precoci frequentazioni di opere teatrali e concerti, gite e viaggi, lunghi soggiorni di vacanza a Napoli (presso il fratello del padre) e in Svizzera (per quello che chiamava il suo “non studio”).
Amante della vita brillante, della cura della propria persona e abbigliamento, giovanotto di successo dalle idee chiare, si mise a vent’anni in affari, trattando telerie e tessuti fra Milano, Napoli e Parigi, poi caffè, quindi, dagli anni Sessanta, divenendo abile imprenditore immobiliare nell’espansione sud orientale di Milano. Intanto, si era sposato con Angela Sironi, coetanea di ottima famiglia, di cui restò vedovo nel 1964. Dal matrimonio era nato nel 1945 l’unico figlio, Giuseppe.
Conducendo i suoi affari con determinazione, abilità e successo, potè lasciar scritto, da vecchio: “ho vissuto come ho voluto ed ho sempre avuto quel che ho voluto”. Poté infatti coltivare le sue passioni: auto potenti, motoscafi, viaggi, la villa a Sanremo, le gare off-shore (in tutto il Mediterraneo, spesso vincitore: nel 1978 fu premiato dal CONI “atleta nazionale”), i lavori teatrali (commedie brillanti in dialetto milanese, per anni messe in scena con successo a Milano e – tradotte in genovese – a Sanremo).
La stessa capacità intuitiva e rapidità decisionale lo guidò nelle passione che dominò la sua vita: quella di raccogliere oggetti antichi, o anche solo vecchi, che comprava alle aste, presso antiquari, nei mercatini e sceglieva seguendo il suo istinto e il suo interesse per la quotidianità della vita dei secoli passati, indagandone soprattutto gli aspetti più curiosi e dimenticati. Avido e insaziabile come tutti i grandi collezionisti, faceva della ricerca degli oggetti occasioni di gite con gli amici e le molte amiche, per poi elaborare lui stesso le schede d’inventario, basandosi sulle notizie contenute nei cataloghi delle aste, su perizie e confronti bibliografici, per i quali si dotò anche di una interessante biblioteca.
Presto, decise di dedicare la sua ricerca alle generazioni future. Comprata nel 1978 – insieme col figlio – la casa di via dell’Ambrosiana 20, trasferite in essa abitazione e collezione, nel 1985 creò, sempre con Giuseppe, la Fondazione che porta il suo nome, col fine di mettere le collezioni «a disposizione di studiosi e cultori delle discipline artistiche, storiche ed etnologiche promuovendo altresì gli studi e le ricerche inerenti a tali materie»: donò ad essa i 1343 oggetti fino a quel momento raccolti, col programma di aprire al pubblico la sua casa. Alla sua morte, diciotto anni dopo, gli oggetti inventariati erano ormai 3692 (di cui un centinaio raccolti dal figlio), da lui acquistati ancora negli ultimi mesi.
Liliana Pittarello, direttrice del Museo
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