Sulla destra dell’androne d’ingresso, in facciata, la targa in ottone riporta una delle definizioni che Emilio Carlo Mangini declinò per il suo museo: “Arredi e oggetti che raccontano come vivevano i nostri avi”. Sotto, compare il logo: una piccola àncora che sovrasta la scritta PERSIST.
Ma che cosa centra un’àncora in via dell’Ambrosiana? Per un museo che di marinaro ha solo pochi oggetti? Sarà per la passione di Emilio, gran marinaio? Oppure, l’àncora sarà da intendersi come simbolo di fede cristiana? Per questo Museo nel quale la religiosità non è che uno dei tanti temi rappresentati?
Per capire, occorre salire al secondo piano. In posizione defilata, percorso uno stretto e breve corridoio, si raggiunge lo studio privato di Emilio Mangini con a fianco la piccola biblioteca. Per gli affari, c’era l’ufficio a piano terra, con un paio di impiegate.
Appartato, Emilio curava le proprie passioni, leggeva, studiava, scriveva le sue commedie e conservava i suoi ricordi: lettere, fotografie, locandine e diplomi appesi a parete; bacheche a muro fitte di schizzi, cartoline, tessere, una multa, una cambiale…; sessantotto coppe vinte in gare di tennis e di motonautica ordinate nella grande vetrina a tutt’altezza e molto altro.
Fra le cartoline, spicca per interesse un biglietto di auguri, da inviare agli amici per il Capodanno 1997-98.
Eccolo lì, disegnato di suo pugno, il logo della sua Fondazione. Ora è chiaro il significato: l’àncora e la scritta raffigurano le principali qualità che Emilio riconosce a se stesso. La tenacia, la determinazione, grazie alle quali sta per arrivare in fondo al progetto di creare il “suo” museo, nel cuore più prezioso di Milano. La scritta sul biglietto (“Tutta la vita / tutto di tutto / tutto di corsa / tutto fatto / … quasi … / Uffa!”) è di fatto il motto della sua vita, vissuta freneticamente fra grandi e divoratrici passioni e tanto lavoro, ed esprime – ad ottantacinque anni – l’ansia e la fretta di ultimare il suo progetto, cosa che oggi possiamo riconoscere fu suo grande merito, perché riuscì a completare l’allestimento del museo, sistemando con le proprie mani i ben 3700 oggetti, ed anche ultimò l’inventario della raccolta, risultato piuttosto raro fra i collezionisti.
Milanese per nascita e vocazione, ma non per origini (il padre era napoletano, la madre piemontese), membro dell’associazione Amici del Museo Poldi Pezzoli, una – col Museo Bagatti Valsecchi – delle due case museo allora aperte al pubblico a Milano, Emilio Mangini lavora tutta la vita per creare la propria casa-museo, per la quale accosta al suo cognome quello della madre, Bonomi. Mette così insieme una raccolta di oggetti alla portata dei suoi mezzi e frutto del suo intuito e insaziabile curiosità, con l’intento di aprirla al pubblico, come espresso fin dal 1985 nell’atto costitutivo della Fondazione e richiamato nella lapide metallica sulla parete sinistra del piccolo loggiato a piano terra: I FONDATORI AUSPICANO CHE I RICORDI DEL PASSATO IN ARREDI / ED OGGETTI DI VITA …… / SIANO UTILI ALLE FUTURE GENERAZIONI..
Sopra la lapide, campeggia il suo ritratto bronzeo, fuso a Milano da modello in resina, rilevato in 3D dal vivo a Parigi su Emilio che, già vecchio – par di vederlo – si era messo in posa fra il serio e il divertito.
Ecco, quindi, tornando al logo, la figura di Emilio Mangini e il suo museo vi sono rappresentati in estrema sintesi con l’àncora, forte e concreta, che saldamente trattiene la nave al fondo marino, e col potente monito dell’imperativo inglese “persist” (sii tenace, non mollare!), verbo di registro elevato impiegato in stemmi e sigilli, come, appunto, l’anello d’oro di un ufficiale di marina inglese da cui Emilio aveva tratto spunto.
Liliana Pittarello, direttrice, 3 dicembre 2023
Recent Comments